mercoledì 2 maggio 2012

ITN, lavoratori e candidati: che fare?

     Se "globalizzazione" sembrava una parola astratta nel 2001 quando a Genova si scontravano manifestanti e poliziotti al G8, oggi ha l'apparenza di un ingranaggio che macina, macina e non si ferma, stritolando tra le ruote dentate le piccole imprese. Il primo maggio i 131 lavoratori dell'ITN si sono ritrovati in piazza XX settembre per protestare contro la loro messa in mobilità e il prossimo licenziamento dopo un anno di cassa integrazione.

     Colpa della globalizzazione, della crisi? Si e no. «La crisi che oggi viviamo ha i nomi e i cognomi degli stessi imprenditori che si fregiano di essere i difensori del Made in Italy, nonostante la produzione, da anni, sia stata spostata e/o importata da paesi stranieri»: questo recita un volantino che la Filctem-Cgil ha distribuito davanti a grandi cartelloni che riproducevano pagine del Quotidiano di Puglia e Lucania con un sorridente Nardelli ma con la scritta «inaffidabile» stampigliata sopra. Una azienda che taglia dipendenti nella produzione crea disoccupazione a livello locale, questo è certo; e la disoccupazione è una butta bestia da affrontare. Purtroppo, se una azienda è in perdita, è costretta a ridurre le spese. Se chi lavora diventa una spesa, si tagliano i lavoratori.

     Ma l'ITN è in perdita oppure no? Secondo l'opinione dei lavoratori, no. Il taglio della produzione, senza toccare gli impiegati degli uffici, significa per molti una parola terribile, anch'essa fino a qualche anno fa ignota: delocalizzazione. Delocalizzazione e globalizzazione significa che una azienda decide di operare in campo internazionale, spostando la produzione là dove costa meno - in genere - il lavoro. Quindi in Cina, nei paesi dell'Europa centro-orientale e balcanica, e così via. Non si tratta solo di stipendi, ché quelli italiani sono ormai tra i più bassi dell'eurozona, ma anche di tasse. Delocalizzare significa anche impoverire il territorio, perché per il singolo imprenditore che guadagna di più (o mantiene il bilancio in pari) ci sono in questo caso 131 famiglie con un reddito in meno. Si tratta di una spirale che vede i poveri diventare più poveri e i ricchi (a volte) diventare più ricchi. Cose che capitano quando c'è la crisi, mancanza di lavoro e perdita di commesse.

     Eppure chi ha lavorato in quest'anno di cassa integrazione, a rotazione, afferma che «il lavoro c'è, e quello che non facevamo noi lo facevano altri façonisti, anche in perdita, con l'acqua alla gola: 300 capi venivano da altre aziende vicine». Tutto questo sarebbe già grave in sé se non ci fossero in mezzo anche le elezioni. A essere presenti in piazza XX settembre solo tre candidati sindaco: Franco Ancona, Michele Muschio Schiavone e Raffaella Spina. Per la verità è stato avvistato anche Leo Cassano, non come partecipante al dibattito, bensì quasi come spettatore, mentre camminava sullo stradone. Se fosse così sarebbe un comportamento poco elegante, considerando che le divisioni ideologiche (primo maggio = festa dei lavoratori = festa dei comunisti = qualcosa da evitare) a tanti anni dalla caduta del muro di Berlino non reggono più, che 131 famiglie aspettano una soluzione e chiedono a gran voce l'interessamento dei candidati a sindaco. Saranno operai iscritti alla Cgil (= pericolosi diavoli rossi e comunisti) ma se un candidato anche di destra riesce a parlare loro e li convince non avrebbero difficoltà a barrare un simbolo in cabina elettorale.

     Da una parte Franco Ancona ha ricordato il centro per il tessile, dall'altra Muschio Schiavone ha dato la colpa alla Regione. Raffaella Spina avrebbe voluto che fosse presente anche Nardelli per discutere insieme della situazione. Alla fine - senza entrare nel merito di ciò che hanno detto i candidati - resta l'amara considerazione che un sindaco può fare ben poco per loro. Non può certo invertire l'economia, né può fare più che chiedere aiuto a provincia e regione per aiutare, più che loro, l'azienda, che dovrebbe essere moralmente tenuta a riassumere la propria manodopera. Ma non è detto che accada. A una contestazione di una operaia che chiedeva certezze per il futuro il consigliere regionale Francesco Laddomada ha risposto in sincerità: «signora, non è così semplice».

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